La sera di mercoledì 4 dicembre il Parlamento francese ha sfiduciato il governo guidato da Michel Barnier. La mozione presentata dalla gauche ma votata anche dal Rassemblement National di Marine Le Pen ha ottenuto 331 voti. Quello di Barnier è il primo governo ad essere sfiduciato dal 1962.
La mattina di mercoledì 4 dicembre a pagina 9 de La Stampa, a pagina 9, viene pubblicata una intervista a Yves Mény, politologo francese, sulla crisi – non ancora deflagrata in quelle ore – del governo francese. L’intervista è firmata da Danilo Ceccarelli. Titolo: “Parigi e Berlino si italianizzano, i partiti di governo sotto assedio”. La seconda domanda dell’intervista, che non è una domanda ma un’affermazione dell’intervistatore, è la seguente: “La politica francese sembra essersi ormai italianizzata”, afferma il giornalista de La Stampa. E il politologo Mény commenta: “Così sembrerebbe. Ma c’è una grande differenza tra il sistema dei due Paesi. In Italia i partiti sono disposti a trattare tra loro e a fare compromessi, a differenza di quanto avviene in Francia, dove le formazioni si considerano nemiche tra loro”. Quindi a dare il titolo, virgolettato, non è la risposta dell’intervistato (che anzi dice “così sembrerebbe, ma…”) quanto piuttosto un’affermazione dell’intervistatore.
La mattina di giovedì 5 novembre sulla prima pagina dell’Avvenire il titolo di apertura è: “Crisi à l’italienne”. L’apertura dovrebbe riassumere i due articoli sulla caduta del governo Barnier a pagina 5. Il primo, firmato da Daniele Zappalà (“Caduto Barnier, Macron deve trovare un altro governo”) riporta la cronaca di quello che è successo a Parigi. Senza alcun riferimento alla crisi à l’italienne. Né vi si fa riferimento nel corsivo di analisi firmata da Giorgio Ferrari titolata “Emmanuel, è ormai il “re solo”. Non solo. In un’intervista fatta dallo stesso Zappalà alla politologa di Sciences Po, Mariette Sineau, e pubblicata sotto l’apertura di pagina 5 si riassume in un virgolettato il pensiero dell’esperta: “Gli errori dell’Eliseo ci hanno portato in un vicolo cieco”. Gli errori dell’Eliseo, dunque, mica degli italiani. Però in apertura del quotidiano dei vescovi la crisi è “all’italiana” (ma scritto in francese”).
La mattina di venerdì 6 dicembre a pagina 3 dei quotidiani QN viene pubblicata un’intervista, firmata da Giovanni Serafini, al geopolitologo Dominique Moisi. Titolo: “Si sta italianizzando”, la Francia. E sotto, “Il politologo vede analogie tra Parigi e Roma”. In questo caso a tirare in ballo gli italiani è il politologo proprio all’inizio dell’intervista sostenendo che “La Francia si sta italianizzando” perché “come in Italia la disaffezione del corpo elettorale francese nei confronti della politica è sempre più violenta. Voi siete maestri nella difficile arte del compromesso, ma noi stiamo imparando in fretta”. Fatto sta, e lo ammette lo stesso Moisi, che “il governo Barnier è durato tre mesi, mentre Giorgia Meloni governa da due anni ed è ancora molto popolare”.
Tre indizi, ovvero tre articoli comparsi tafazzianamente sulla stampa italiana, che non fanno una prova. Per trovare la prova che la caduta del governo francese non è colpa dell'”italianizzazione”, bisogna leggere il Telegraph e il titolo (perfettamente calzante con il contenuto) del commento di Fraser Nelson, che è editorialista del quotidiano britannico ma anche fondatore dello Spectator: “Ignoring voters comes at a high price, that’s what France’s centrists just learnt”. Traduzione: ignorare gli elettori ha un prezzo elevato, è ciò che i centristi francesi hanno appena imparato.

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