“Angela chi? L’eredità di Merkel sembra sempre più terribile. 16 anni senza riforme stanno avendo un impatto sulla Germania e l’Europa”. Così titolava un articolo pubblicato sull’Economist il 24 ottobre 2024.

In un’intervista realizzata da Aliseo e ripresa il 26 ottobre 2024 dai social, l’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani spiega come l’Unione europea abbia spesso adottato un approccio “ideologico” alle tematiche ambientali negli ultimi anni. “I danni oggi appaiono difficilmente riparabili nel breve periodo e richiedono una radicale inversione di tendenza circa le politiche da adottare per permettere all’Europa di tornare competitiva”.  Secondo Cingolani, i Paesi europei si starebbero accorgendo solo ora delle reali esigenze dell’industria e della Difesa, e di come queste dovrebbero servire gli interessi di un’Europa diversa da quella vista negli ultimi cinque anni. Si aggiunge Mario Deaglio – professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino – che in un’intervista su Italia Oggi del 26 ottobre 2024 sottolinea: “Sull’auto è stata fatta una scelta sbagliata puntando tutto sull’elettrico, e non, per esempio, sull’ibrido, e adesso ne paghiamo le conseguenze. E se guardiamo ad altri settori ci accorgiamo di aver perso posizioni importanti: per esempio, una volta gli europei utilizzavano prevalentemente telefoni cellulari di marchi europei, oggi, con gli smartphone, non è più così. Di fatto, ci stiamo accorgendo di essere l’appendice di un mondo più vasto. Volendo fare un paragone storico, ci siamo accorti di essere i greci ai tempi dell’Impero romano”.

Sul sito di Repubblica il 25 ottobre vengono riprese le parole di Romano Prodi durante un discorso alla Ucl di Londra su diplomazia e arte del compromesso. Prodi: “L’Ucraina sarebbe dovuta restare uno stato cuscinetto tra Russia e Nato”.

Sul Corriere della Sera del 27 ottobre 2024 un editoriale di Francesco Giavazzi sottolinea la necessità per la UE di passare da un’economia basata su grandi imprese, forti investimenti, e adozione di tecnologie sviluppate altrove, a un’economia basata su imprese giovani e innovazione “indigena”.

 

Questi appena citati sono solo alcuni esempi di come funziona il senno di poi.

Col senno di poi ci si può rendere conto che Angela Merkel, osannata quando era cancelliera da praticamente tutta la stampa progressista d’Europa (Italia compresa) ha fatto i suoi errori strategici, uno di questi sull’energia, di cui stiamo pagando ora il prezzo salatissimo.

Col senno di poi un Cingolani, oggi in Leonardo ma solo fino a pochi mesi fa a capo del ministero della transizione ecologica nel governo Draghi, può ammettere che la transizione green così come è stata impostata dall’Europa evochi il commento fantozziano alla corazzata Potemkin. E col senno di poi anche un economista esperto come Deaglio si accorge della suddetta mossa fantozziana sull’elettrico solo quando la mina è ormai scoppiata. Chi lo scriveva e affermava, prima del senno di poi, era considerato un eretico o un negazionista.

Col senno di poi, un altro esperto economista come Francesco Giavazzi – ex consigliere economico del governo Draghi – ci spiega che serve un contrordine compagni! Dopo aver consigliato tutt’altra strada al governo Draghi.

Col senno di poi, Romano Prodi, ovvero colui che un tempo rappresentava l’Italia in Europa, ci spiega che l’Ucraina sarebbe stata più «utile» come Paese «cuscinetto» tra Russia e Nato. E ci vuole una scrittrice italoalbanese, Anmita Likmeta, che su X (e con un articolo su Linkiesta), ricordi la giornata del 28 marzo 1997. Quando, nel mare Adriatico, “centotré miei connazionali perirono nel tentativo di fuggire dalla miseria; la motovedetta su cui viaggiavano, la Kater i Radës, venne speronata da una fregata italiana, la Sibilla, lasciando al mare e al silenzio le vite e i destini di persone che cercavano un rifugio, una speranza. La tragedia fu presto archiviata come incidente. Prodi, lo stesso Prodi, allora presidente del Consiglio italiano, liquidò quella tragedia con parole tanto misurate quanto disumane, classificandola come una fatalità della storia, come un errore tecnico di chi, in quegli anni, stava “contenendo” la questione migratoria. Era una forma di geopolitica del sacrificio, mascherata da linguaggio neutro. Oggi, con la stessa semplicità, dice che l’Ucraina avrebbe dovuto restare “neutrale”, una zona cuscinetto tra due blocchi, sacrificata a una stabilità teorica”, commenta Likmeta.

Morale: col senno di poi son bravi tutti. Ma almeno ci risparmino le lezioncine.

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